giovedì 11 aprile 2019

La Scacchiera e il BANG!


Nel progetto di Casa Adler di Louis kahn il tema che prevale è la "stanza".
Come si può notare dalla pianta, la forma della stanza, della singola unità spaziale viene ripetuta diverse volte, come unità indipendente, sottolineando l'indipendenza di ogni singolo modulo, connesso al successivo per giustapposizione.




Il Bang di quest'opera secondo me si divide in tre piccole parti che unite e coese creano un unica cosa, un unico bang.
1) L'utilizzo della "scatola" come unità di base, che in giustapposizione con altre "scatole" e con la struttura compone un insieme di spazi.
2) L'idea si "stanza" come origine del progetto, spazi intesi come spazi autonomi chiaramente definiti dalla struttura.
3) Il "Tipo" (configurazione base che governa relazioni e gerarchie tra le parti dell'edificio), diventa uno strumento fondmentale per le riflessioni progettuali; il tipo ridiventa in Kahn memoria storica della geometria. Diventa la regola con la quale le stanze, i percorsi, gli spazi della vita e delle funzioni si associano per diventare architettura.

Nella scacchiera che che ho sviluppato, il ragionamento parte proprio dal concetto della "scatola", come unità base.
Partendo dalla conformazione di basa di casa Adler, possiamo notare come sia possibile spostare i singoli blocchi andando a creare sempre nuove composizioni spaziali.



Plastico "critico" Casa Adler

Plastico "critico" Casa Adler

Divisione in blocchi Casa Adler
Alcune possibili composizioni:








Successivamente ho cercato di ampliare il ragionamento, immaginando questo meccanismo in grande scala, e quindi associare ad una singola "scatola" non una stanza della casa ma proprio tutta la casa, creando così tante piccole case monoblocco, che posizionate su un'area molto più grande, suddivisa in lotti, si potesse come giocare a scacchi, e che proprio come in un partita a scacchi, le possibili mosse sono innumerevoli.









Studio di un'opera

Casa Adler  Luois Kahn

Luois Kahn nasce in Estonia nel 1901, e nel 1905 emigra con la famiglia, per trasferirsi in Pennsylvania.  Nel 1924 consegue la laurea in Architettura all'università della città. Il suo maestro è Paul Cret da cui assimila una preparazione Beaux Art, che successivamente approfondisce nel suo primo viaggio in Europa nel 1928.
Apre il suo primo ufficio nel 1937, al quale si assoceranno successivamente George Howe e Oscar Stonorow. Le opere non sono numerose e si richiamano sia negli intenti sociali che nel linguaggio al tardo razionalismo
Dopo la guerra, terminata nel il 6 agosto 1945, Kahn diventa professore di Yale e ottiene nel biennio 1950-51 una borsa Fulbright all'Accademia americana di Roma che gli permette di viaggiare anche nel bacino del Mediterraneo. Kahn inizia ad interrogarsi sul tema del significato dell'architettura. Si interroga sulle basi stesse dell'architettura, spesso nebulosamente, ma progressivamente in maniera sempre più approfondita. Kahn cerca le sedimentate ragioni dell'edificare come atto sociale e collettivo come segno permanente dell'uomo.
Il termine alla chiave della sua poetica è: “istituzione”. Con questa parola Kahn indica i bisogni primari, bisogni imprescindibili legati alla forma. La prima motivazione, il primo obiettivo, di un edificio è esprimere spazialmente questa essenza. Solo dopo che questa forma è stata trovata e concepita, l’architetto si può dedicare agli aspetti secondari (form risponde al “perché” e design risponde al “come”). Per in nuovo Kahn la forma segue il significato, la forma è funzione. Kahn è interessato all'essenza profonda del costruire.
Un altro passo decisivo per Kahn è quello della riscoperta della stanza. A metà degli anni 50 studia la pianta del Palladio e redige un documento, Si tratta di due pagine manoscritte in cui l'architetto parla della pianta palladiana e, in tutta modestia, descrive quella che è per lui una autentica scoperta: struttura e spazio sono un tutto unico. Spazio e struttura formano in Palladio un tutto unico, inscindibile, coesivo ,è proprio in questa unità che la funzione trova la sua ragione di essere.. È la stanza l'origine della architettura.
La struttura non è più un'astratta griglia cartesiana, ma sagoma l'invaso. Il valore del muro pieno, del setto, della colonna è reintrodotto nel vocabolario moderno insieme al significato dell'attacco a terra, dell'elevazione e della copertura. La luce, non è l'entità funzionalista dell'asse eliotermico, ma la materia che rivela la forma. La direzione e il modo con cui è modulata svela il valore funzionale e simbolico della stanza. Gli stessi impianti sono accolti organicamente nella costruzione. La struttura si articola nelle ossa di uno scheletro che accoglie le vene che portano linfa in tutto l'organismo.
È quanto si comincia a manifestare nella terza tappa significativa della rivoluzione Kahniana. Nella casa Alder, che appare con la contemporanea casa De Vore e il Museo di Yale, il primo progetto del Kahn maturo, che a cinquant'anni inizia a narrare con i progetti la sua nuova concezione.
La pianta della casa Alder segna con evidenza questa rivoluzione e subito è seguita dai padiglioni della comunità ebraica di Trenton (che ingabbiano nella stessa logica interno ed esterno), dal solaio a trama triangolare del museo di Yale e dalle torri dei laboratori Richards.
Ma Kahn, partendo dalla stanza come matrice della sua filosofia progettuale, riscopre un altro momento fondativo dell'architettura. Il Tipo (configurazione base che governa relazioni e gerarchie tra le parti dell'edificio) ridiventa uno strumento fondamentale per la riflessione progettuale. Ridotto dal Movimento Moderno a semplice schema distributivo, il tipo ridiventa in Kahn memoria storica della geometria. Diventa la regola con la quale le stanze, i percorsi, gli spazi della vita e delle funzioni si associano per diventare architettura. 
La riscoperta del tipo nelle sue profonde valenze per la storia delle istituzioni umane è il solo modo in cui l'etichetta che vuole Kahn come l'architetto che segna il ritorno alla storia è valida. Non è il ritorno allo stile, alla ricerca mimetica, ma il ritorno alla ragione profonda, al senso stesso dell'architettura per gli uomini.

Casa Adler
Pianta articolata in cinque quadrati, marcati dalla nuova idea di stanza,come cellula base dell'architettura e contenuti negli angoli della muratura. La stuttura e la forma coesistono in un unico essere.








giovedì 4 aprile 2019

Imprinting


Pensando alla parola IMPRINTING, la mia mente è andata subito indietro nel tempo fermandosi ad un preciso istante, di un preciso giorno. Da lì ho pensato, “ok basta descriverlo”, mi sono resa conto solo mettendomi davanti ad una tastiera che forse descrivere un luogo tanto importante per noi, che ci ha suscitato grandi emozioni, e continua a farlo tutt’ora, ogni volta, come se fosse la prima, non era così facile.
Dopo qualche istante di confusione ho chiuso gli occhi, ho iniziato ad annotare su un foglio bianco le sensazioni che quel posto mi evoca, odori, sentimenti, colori e tutto quello che mi tornava in mente pensando a quel luogo. Ho cercato di scavare dentro di me.

Vorrei partite con l’impatto visivo che quel luogo ha avuto su di me, il colore, la forma, le parti che lo compongono, le persone e le cose che ne fanno parte, le luci, le dimensioni.
Era il 2014, io e il mio ragazzo partimmo per farci una settimana in relax nel paesino di sua nonna, un paesino ad una manciata di km da Roma, situato tra Rieti e Carsoli: Colle di Tora. E’ un piccolo paesino che si sviluppa come una lingua, dalla montagna fino dentro al lago (lago del Turano). Per arrivare non ci vuole molto (se si fa l’autostrada), noi quella volta, giovani e impavidi decidemmo di fare la Salaria, strada infinita, viaggio infinito, e devo ammettere anche un po’ pesante visto il caldo afoso di quell’estate. Durante il viaggio tra una risata, una canzone e qualche chiacchiera pensavo a cosa avrei trovato una volta arrivata, e mai mi sarei aspettata quello che poi i miei occhi videro, e quello che il mio cuore trovò. Si è vero il mio fidanzato (Marco) me ne parlò tanto di quel paese, delle estati che passava li da quando era piccolo, il lago, gli amici, la piazza dove si ritrovavano, ma io forse un po scettica pensavo tra me e me “ ok, come sono tutti i paesi, cosa avrà mai di così tanto speciale che quando ne parla gli brillano gli occhi?”. Dopo circa due ore di macchina arrivammo ai piedi della montagna che ci separava dal paesino, o come la chiamo io ormai da quel giorno “La valle incantata”, tra poco capirete il perché. Iniziammo a salire la montagna, tra una curva, una mucca incontrata sulla strada e un po’ di nausea (già soffro la macchina, e le curve sono la mia criptonite), non vedevo l’ora di scendere dalla macchina, così Marco mi disse: “Tranquilla tra poco ci sta il belvedere, ci fermiamo un po’ e poi ripartiamo”. Saliamo, saliamo la montagna, e poi iniziamo a scendere, scendere, ad un certo punto tra gli alberi e i cespugli facciamo un’altra curva ed inizio ad intravedere uno spiazzale, ed ecco li finalmente il belvedere , ci fermiamo, scendiamo, ed ecco che lo vedo, vedo quel lago, quel paesino avvolto in un abbraccio tra le montagne e il lago, eccola li la mia valle incantata. In quel momento sono rimasta veramente senza parole, pensai solo alla bellezza di quel posto, al mio cuore che letteralmente impazzì per poi placarsi, come se si sentisse finalmente sereno e tranquillo, aveva trovato il suo posto, il suo posto nel mondo. Fu amore a prima vista tar me e quel posto, capii che qualcosa di magico era sbocciato. Ne vidi tanti di posti e borghi simili girando spesso la domenica con i miei genitori e mio fratello, ma quel posto, quel posto era magico, aveva rapito il mio cuore soltanto ad un primo sguardo, li dal belvedere, lontano ed in alto. E’ stata una sensazione che ancora oggi non riesco a spiegarmi, è una sensazione che ancora oggi a distanza di 5 anni mi porta ad essere emozionata ogni volta che superata quelle curva tra alberi e cespugli ci fermiamo in quello spiazzale. Sono cinque anni che ormai andiamo li, anche più volte l’anno, e ogni volta che arriviamo e andiamo via chiedo al mio ragazzo di fermarci qualche minuto a quel belvedere, un po’ per la classica foto di rito, un po’ per godermi quella vista e quella sensazione di pace e tranquillità che riceve il mio cuore.


Così, quel giorno di metà agosto, dopo essere rimasta estasiata da tale visione, decidemmo di rientrare in macchina e continuare la discesa verso il lago, a quel punto capii perché il mio ragazzo era così legato a quel posto, a me bastò quella vista per innamorarmene, e ancora non avevo visto il resto, conosciuto le persone e sentito le storie. Arrivammo a casa, portammo su le borse, (abita al 3° piano, senza ascensore, ecco, questa credo sia l’unica cosa che non mi piace di quel posto), mi fece vedere come prima cosa la casa, le camere il bagno ed infine andammo sul terrazzo, e beh che dire, li ci fu un altro colpo al cuore, un altro scorcio che ormai è fisso nella mia mente, che mise i puntini sulle i.


Di li a pochi minuti uscimmo subito di casa per fare un giro nel paese.
Scendemmo di casa, e iniziarono i primi saluti di rito, tra mille amici, parenti, conoscenti e così via. La casa (un grazioso palazzo color rosa) si trova a metà di una salita, andammo prima in su, passando davanti ad un bar, il “bar di Rina”, una simpaticissima anziana del paese, dove incontrammo diverse persone e iniziarono le presentazioni, io molto timida riuscivo a mala pena a dire “piacere Giulia”, tenendomi sempre un po’ nell’ombra di Marco. Finito da Rina, salimmo ancora verso il campetto, dove ogni sera è tradizione una partita di calcetto, e li ci furono altri saluti altre presentazioni.


Poi partimmo in direzione della piazzetta, luogo simbolo del paese, dove ci sta la fontana la chiesa, dove i bambini giocano sotto lo sguardo attento dei nonni. Iniziammo a camminare nelle stradine, tra un saluto e una chiacchiera osservavo ciò che mi circondava, e le emozioni cercavano di farsi spazio l’un l’altra. Ricordo che oltre a ciò che vedevo, gli scorci, le viste del lago, le casette e i vialetti una cosa che mi colpì tanto furono i suoni, e gli odori.
Ricordo nel dettaglio il fruscio degli alberi al tirar del vento, il suono dei bambini e delle loro biciclette, il suono in lontananza, probabilmente su per la montagna, di motoseghe e di tanto in tanto qualche animale.
Poi c’è l’olfatto, che forse più di tutti è il senso che riesce ad evocarci ricordi; ricordo l’odore di brace sempre un po’ presente nell’aria, l’odore degli alberi e di erba appena tagliata, ricordo un odore di crostata che proveniva da diverse case, e ricordo l’odore di fresco, di pace e serenità, so che non è un odore reale, ma per me lo è, se chiudo gli occhi e mi vedo in quel viale che porta alla piazza, io sento quell’odore, l’odore di tranquillità.


Arrivati in piazza vidi quel quadretto, un po’ bucolico, la fontana al centro, con dell’acqua buonissima e freschissima, delle panchine intorno, e poi tutto uno spiazzo dove c’erano bambini di tutte le età che giocavano a pallone, si rincorrevano, ridevano e scherzavano. C’erano piccole case che circondavano la piazza come ad abbracciarla, con le anziane sui terrazzini e gli anziani seduti all’ombra del grande albero poco distante dalla fontana. Come di rito ulteriori saluti, ulteriori presentazioni.


Scendemmo verso il lungo lago, e iniziammo a passeggiare fino ad arrivare alla “spiaggetta” luogo di ritrovo diurno di grandi e piccini per godere un po’ ,del sole e di un bel bagno fresco nel lago. E li dalla spiaggetta ad un passo dal lago che si coronò definitivamente il mio amore per quel posto, vidi quel lago, il suo color smeraldo, le montagne che lo circondavo, la freschezza e la limpidezza di quell’acqua, la voglia di immergermi e rimanere li fu inarrestabile. Tornammo di corsa a casa per cambiarci, mettemmo costume e pantaloncini e poi giù di corsa al lago.


Se non era quella la felicità e la pace pensai che nulla poteva esserlo.



Nella serata che venne, vidi il paesino anche di notte, e posso assicurare che è un vero spettacolo. Andammo a piedi fino alla piazza, e dopo qualche minuto ci incamminammo verso il Bloom, disco pub, in riva al lago, luogo simbolo delle serate a Colle di Tora, con una piccola sosta al parchetto, per “raccattare” qualche ritardatario che non era riuscito a venire in piazza. Passammo una piacevolissima serata. Tornati a casa non riuscivo ancora a credere alla bellezza di quel posto, alle emozioni che avevo provato, con molta fatica mi addormentai, ansiosa del giorno seguente dove avrei potuto di nuovo girare per quelle vie.
Sono passati ormai 5 anni da quel giorno, ancora oggi è così, oltre alla bellezza del luogo con il tempo ho conosciuto la bellezza e l’amore delle persone che ne fanno parte, ed è sempre una gioia immensa per me tornare in quel posto.
Ad oggi infatti mi lega a quel posto anche un forte legame sentimentale, per i tanti ricordi, per le persone, per le amicizie nate e le esperienze condivise. Le sere di San Lorenzo passate tutti insieme a cercare le stelle, le pasquette, i ferragosto a fare la brace. I gavettoni alla spiaggetta e qualche piccolo dispetto “acquatico”.
Credo fermamente che non mi stancherò mai di quel posto, che ormai sento anche un po’ mio, un po’ come se fosse sempre stato lì ad aspettarmi, come una seconda casa. Non mi stancherò mai di quelle mille curve per arrivare, o della strada da fare (ormai abbiamo imparato, facciamo l’autostrada, e ci mettiamo molto di meno), perché ogni volta che arrivo me ne innamoro un po’ di più, ogni volta che vado via muoio un po’; ma so che di lì a poco, qualche mese o forse un anno, tornerò a rinascere perché rivedrò da quel belvedere, ormai parte del mio cuore, la mia amata VALLE INCANTATA.


PLACIDO-FRESCO-SOLARE-RILASSANTE-GIOIOSO

Ho provato a pensare come poter incorporare alcune delle caratteristiche di questo luogo nel mio progetto, la prima cosa che mi è venuta in mente è la pace e la tranquillità, elementi fulcro di un dojo, oltre che l'importantissima sinergia tra gli elementi, come l'aria, l'acqua e la terra, che vorrei poter portare nel mio progetto, nella maniere più semplice e naturale possibile, come se il progetto fosse nato da tali caratteristiche, un po' come questo mio caro luogo.






ESAME 16.7.2019